Creative Director


(con lo smartphone consigliamo la lettura in orizzontale)

Parole semplici
per aprire al mistero della vita


Di cosa è fatta la speranza

Il romanzo di Cecily Saunders, che si è presa cura degli incurabili

di Emmanuel Exitu

(Bompiani Editore)


Parte seconda - Vita nova - Finestre


I primi giorni di primavera sono giorni di buonumore per tutti tranne che per lei, per lei sono i giorni del discontento. Ogni mattina non fa caso all’aria che brilla, al cielo che si allunga, al tepore che torna o alla luce che cambia. Ogni mattina dietro i vetri della finestra borbotta piuttosto che deve decidersi a chiamare un vero giardiniere e porre fine a quella vergogna una volta per tutte, deve farlo al più presto e anzi adesso, subito dopo colazione. Poi regolarmente si dimentica, ma va bene lo stesso. Tanto lei ha l’albero dalla sua. Uno solo, alto fino al tetto. Lui sì che la ripaga di tutti i dispiaceri. Si è preso il posto tra il muro e la siepe, tre passi a destra appena entrati dal cancellino, sulla verticale della finestra di camera sua.

Ogni anno all’arrivo della primavera fioriscono tutti gli alberi di Londra tranne lui. Non una gemma, nemmeno una fogliolina. Attorno infuria un mucchio selvaggio di glorie vegetali trapassate da fiammate di vita così violente che non solo le chiome e i rami e i fogliami e i pollini e i profumi e i fiori, ma persino le cortecce e le radici sottoterra, persino l’asfalto e i muri sembrano vibrare.

Invece lui niente, lui se ne sta lì dritto e stinto e scheletrito come se ce l’avesse con il mondo, il tronco secco e i rami neri ad artiglio che crepano il cielo come fulmini fossili. Poi, chissà perché, decide che è venuto il suo momento e nel giro di una notte o poco più si fa esplodere in una nuvola di verde. E dentro, come in una vera nuvola carica di pioggia, ci scoppiettano anche i lampi bianchi dei fiori che sbucano e svaniscono nel verde seguendo il dondolio della chioma. Ma in ritardo, sempre in ritardo, quando decide lui. A Cicely piace molto quel modo di fare.

Quando visitò per la prima volta quella casetta a due piani che poi ha comprato, la più piccola della via, il venditore le disse che in quella manciata di polvere che si ostinava a chiamare giardino perimetrale l’albero era apparso così, senza che nessuno l’avesse seminato. “Facilmente sradicabile,” disse. “Appena muore.” A quel tempo era basso e spelacchiato come il venditore, un ometto dalla pelle unta e le palpebre arrossate che si passava di continuo un fazzoletto umido sulla bocca e sulla nuca respirando a fatica e facendosi aria con il cappello, e sembrava davvero che non avrebbe superato l’estate. Invece crebbe in fretta e furia senza chiedere niente a nessuno, quasi di nascosto: una notte la svegliò ticchettando sul vetro con la punta dei rametti nudi, e lei restò incantata a guardarlo suonare quel ritmo come se fosse il più bel concerto del mondo. Non si era accorta che fosse cresciuto così tanto, lavorava troppo e non si faceva distrarre da niente, lavorava mangiava dormiva, nella sua testa era misero e sparuto e quasi morto, invece di colpo eccolo lì a battere alla finestra. Con la stessa velocità superò anche il tetto. Quell’albero se ne frega di tutto. Del caldo, del freddo, della nebbia e dello smog, del fatto di essere in città, di non avere spazio, di non essere curato… Come può non amarlo? Non si è mai arreso.

E adesso, da grande, quando arriva la primavera riempie così tanto la finestra che lei per chiuderla prima di andare a dormire deve respingere la folla screanzata e petulante dei suoi rami gonfi di foglie, deve salire sulla sedia per buttare fuori quelli più in alto: li spinge, li piega e chiude. Non ci pensa nemmeno a potarli, aspetta l’autunno. E loro premono sul vetro strisciando con quel rumore soffice che la culla e l’addormenta e che è diventato il rumore stesso della pace. Non tira mai le tende: ogni mattina all’alba vuole svegliarsi nel puro sfarzo, vuole che la luce del sole le tremi sulla faccia.



Il rubino del martedì

di Francesca Serragnoli

(Raffaelli Editore)


E’ sempre poco il tempo


E’ sempre poco il tempo

per guardare le stelle

di ora in ora le sento cedere come truppe

stanche intorno ai fuochi.

E’ il tempo del fucile spento

la canna fredda tocca il mento

tengo il brivido, le mani in alto

il viso è un bambino scalzo

gli occhi come fionde tirano un sasso

non si sente il tonfo di niente

non fucilare il mio guardare

dov’è l’identità infinita?

Il nome che spacca la vetrata della vita?

Il lago specchia me ondulata

imposte rotte sbattono parole vecchie.

Il cielo non è un bar per gente sola

ordino per te la pioggia

e Gesù fra i rami dell’acqua

come un puscher ci guarda

con la roba che spezza la morte.



Poesia Completa
di Karmelo C. Iribarren


Madrid, metro, nocte


Persone 

esauste

con lo sguardo 

inchiodato

al suolo,

si interrogano

sulla vita

quella vera...

perché non può essere

che sia

solo

questo...


La via del commiato
di Simone Biagi
(Book Sprint Edizioni)


***


Quanto ti sommuove non lo stringi tra le dita, non lo comprendi
Col pensiero – Eterno mistero, si fa luce nel mondo soltanto per
Te; dischiuso tra le chiome, non lo conosci e lo ricevi. Fosse
Pure il riaccadere di questo ennesimo giorno, fosse pure il duro canto
Della tua disperazione, tu non sai. Non sai che fare. E per ogni
Dono del mondo, ti coglie il sempre vivo, improvviso silenzio di chi
Non si aspetta. Allora riprende il cammino, poi si volta di scatto,
Vuole tornare a quell’attimo, tornare indietro solo un poco per sapere
Di essere amato anche lui – In fondo, lo ha sempre vissuto in quel
Modo l’amare, il venire improvviso, dal fondo, di quanto nemmeno
Sapeva il suo cuore volesse.


Rapporto dalla città assediata
di Zbigniew Herbert
(Adelphi)


Due gocce


I boschi bruciavano -
e loro
s'intrecciavano le mani intorno al collo
come mazzi di rose
la gente correva nei rifugi -
lui diceva mia moglie ha capelli
in cui ci si può nascondere
avvolti nella stessa coperta
sussurravano parole prive di vergogna
litania d'innamorati
Quando il pericolo era grande
si saltavano negli occhi
chiudendoli forte
così forte da non sentire il fuoco
che gli arrivava alle ciglia
fino alla fine coraggiosi
fino alla fine fedeli
fino alla fine somiglianti
come due gocce
sospese sull'orlo d'un viso


Sull’amore
di Charles Bukowski
(Guanda)


confessioni


aspettando la morte
come un gatto
che piomba sul
letto
mi dispiace così tanto per
mia moglie
lei vedrà questo
rigido
corpo
bianco
lo scuoterà una volta, poi
forse
un’altra:
«Hank!»
Hank non
risponderà.

non è la mia morte a
preoccuparmi, è mia moglie
lasciata con questa
pila di
niente.
voglio farle
sapere
però
che tutte le notti
passate a dormire
accanto a lei
persino le inutili
discussioni
sono sempre state
cose splendide
e le difficili
parole
che ho sempre temuto di
pronunciare
ora possono essere
dette:
io ti
amo.


Sotto specie umana

di Mario Luzi

(Garzanti)


Di che è mancanza questa mancanza


Di che è mancanza questa mancanza,
                            cuore,
che a un tratto ne sei pieno?
di che? Rotta la diga
t’inonda e ti sommerge
la piena della tua indigenza…
                     Viene,
forse viene,
           da oltre te
                  un richiamo
che ora perché agonizzi non ascolti.
Ma c’è, ne custodisce forza e canto
la musica perpetua… ritornerà.
             Sii calmo.



Frammenti lirici

di Clemente Rebora

(Garzanti)


Dall’imagine tesa

 

Dall’imagine tesa

vigilo l’istante

con imminenza di attesa –

e non aspetto nessuno:

nell’ombra accesa

spio il campanello

che impercettibile spande

un polline di suono –

e non aspetto nessuno:

fra quattro mura

stupefatte di spazio

più che un deserto

non aspetto nessuno:

ma deve venire;

verrà, se resisto,

a sbocciare non visto,

verrà d’improvviso,

quando meno l’avverto:

verrà quasi perdono

di quanto fa morire,

verrà a farmi certo

del suo e mio tesoro,

verrà come ristoro

delle mie e sue pene,

verrà, forse già viene

il suo bisbiglio.


Dove lei non è

di Roland Barthes

(Einaudi)


9 giugno 1978

 

Questa mattina, traversata della chiesa di Saint–Sulpice, la cui semplice vastità architettonica mi incanta: essere dentro l’architettura - Mi siedo un istante; una specie di «preghiera» istintiva: che riesca a finire il libro Foto-Mam. E poi osservo che sto sempre a chiedere, a volere qualcosa, sempre tratto in avanti dal Desiderio infantile. Un bel giorno, sedersi nello stesso posto, chiudere gli occhi e non chiedere nulla . . . Nietzsche: non pregare, piuttosto benedire. Non è forse questo che il lutto dovrebbe portare con sé?


Myricae

di Giovanni Pascoli

(Rizzoli)

 

Mare


M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l’onde.
Vedo stelle passare, onde passare:
un guizzo chiama, un palpito risponde.
 
Ecco sospira l’acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d’argento.
 
Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?


Frammenti lirici

di Clemente Rebora

(Garzanti)


Nihil fere sui.

 

Son l’aratro per solcare:
altri cosparga i semi,
altri èduchi gli steli,
altri vagheggi i fiori,
altri assapori i frutti.

 

Son la sponda per il mare:
altri assetti le navi,
altri spinga le prore,
altri diriga il viaggio,
altri tocchi le mete.

 

Il mio verso è un istrumento
che vibrò tropp’alto o basso
nel fermar la prima corda:
ed altre aspettano ancora.

 

Il mio canto è un sentimento
che dal giorno affaticato
le notturne ore stancò:
e domandava la vita.

 

Tu, lettor, nel breve suono
che fa chicco dell’immenso,
odi il senso del tuo mondo:
e consentire ti giovi.


Sentimento del Tempo

di Giuseppe Ungaretti

(Einaudi)


La madre

 

E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra 
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto, 
e avrai negli occhi un rapido sospiro.


Middlemarch

di George Eliot

(Mondadori)


Epilogo


 "... l’influsso della sua esistenza su quelli che le stavano attorno fu incalcolabilmente ampio: perché il bene a venire del mondo dipende in parte da azioni di portata non storica; e se le cose, per voi e per me, non vanno così male come sarebbe stato possibile, lo dobbiamo in parte a tutti quelli che vissero con fede una vita nascosta e riposano in tombe che nessuno visita".


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